Bella Baxter e il valore della diversità. Una nuova prospettiva per il diritto, verso il modello sociale della disabilità e oltre lo sguardo medico

di Adriano Izzo, Avvocato civilista e Presidente della Fondazione Gennaro Santilli,

Se Bella Baxter esistesse davvero e vivesse ai nostri tempi, quali ostacoli sociali, culturali e legali incontrerebbe? Sarebbe davvero libera di esprimersi, di scoprire il mondo, viaggiare, incontrare persone, fare sesso, amare?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima spiegare chi è Bella Baxter.

Solo dopo averlo fatto – rigorosamente senza pregiudizi – potremo cercare di capire quale sarebbe il suo destino in una società come la nostra.

Bella Baxter è la protagonista dell'acclamatissimo film del provocatorio regista Yorgos Lanthimos Poveri animali!, interpretata da una straordinaria Emma Stone (vincitrice dell'Oscar come migliore attrice protagonista).

Tratto dal romanzo omonimo dello scrittore scozzese Alasdair Gray e ispirato al Frankenstein di Mary Shelley, il film è una satira esteticamente perfetta della morale vittoriana dell'epoca (e, in generale, del pensiero bigotto e proibizionista), che trova nel suo protagonista la completa espressione di un essere umano libero da condizionamenti e affamato di conoscenza, di vita, di persone, di luoghi.

Bella Baxter è una giovane donna suicida nel Tamigi e rinata grazie al genio visionario del chirurgo Godwin Baxter – uno straordinario Willem Dafoe – che le ha trapiantato nel cranio il cervello del bambino che portava in grembo.

Il film segue la crescita di Bella Baxter, una Frankenstein al femminile con le capacità cognitive di una neonata che si evolve, raggiungendo una consapevolezza di sé e del proprio corpo che la porterà, libera e ribelle, a emanciparsi da ogni forma di controllo e condizionamento e a vivere la vita nelle sue molteplici declinazioni.

Attraverso un viaggio di formazione tra Lisbona, Alessandria d'Egitto e Parigi, Bella vive esperienze grottesche animate da una curiosità smisurata, scopre il sesso, si prostituisce, balla come se nessuno la guardasse, chiude relazioni e ne apre altre, si interessa di politica, arte e cultura, cede al richiamo della mondanità.

Molto è stato scritto su questo film, sul suo significato, sulla sua capacità di trasmettere un'immagine di donna libera e indipendente, finalmente libera da ogni retaggio patriarcale. Tuttavia, non sono mancate le critiche, molte delle quali provenienti dallo stesso mondo femminile che considera la narrazione di una creatura così forte e selvaggia come macchiata da un punto di vista prettamente maschile che trasforma la protagonista in un mero oggetto del desiderio.

In realtà c’è un altro punto di vista – meno dibattuto di quello più immediato relativo all’identità di genere ma altrettanto potente e illuminante – che merita di essere esplorato a fondo e riguarda il valore della diversità incarnato dalla splendida e indomita Bella Baxter.

Il merito del film è quello di sollevare molti interrogativi sulla condizione umana e, in particolare, sulle diverse forme di espressione della diversità del genere umano.

Utilizzando gli strumenti concettuali e classificatori della scienza medica e giuridica, Bella Baxter potrebbe essere considerata una persona con disabilità intellettiva, proprio a causa di quella asincronia tra corpo e cervello che produce, almeno nella fase iniziale della sua rinascita, notevoli limitazioni.

Eppure – ed è questo il messaggio forte e rivoluzionario del film – Bella Baxter, nonostante i suoi limiti e la sua fragilità, è uno splendido essere pensante e sensibile, con desideri e aspirazioni, che ci regala un modo diverso e più illuminato di concepire la disabilità. Una condizione umana – come tante altre – a cui non va collegato alcun sentimento di commiserazione o pietismo. Non una malattia, quindi, né una disgrazia.

Il modo di essere e di vivere di Bella genera una forma di amore nello spettatore che trascende la necessità di etichettarla, di catalogarla. Bella la ama perché vive come vuole, perché è libera di esplorare, sperimentare, conoscere, agire.

Possiamo dire che questa visione del diverso o del disabile sia radicata nella nostra società, nella nostra cultura, nella nostra produzione normativa nazionale e internazionale?

Purtroppo c'è ancora molta strada da fare, ma ci sono segnali incoraggianti.

Prevale una logica paternalistica di mera tutela, soprattutto a livello normativo, che viene offerta da un soggetto superiore a favore di un soggetto subordinato. In altri termini, siamo ancora legati a una concezione medico-individualista, fondata sulla cultura dell’abilismo e del deficit, che considera la diversità e, in particolare, la disabilità come un problema individuale da eliminare o mitigare. Come una condizione di deficit che, privando il soggetto della possibilità di vivere esperienze significative, non potrebbe mai essere scelta razionalmente o essere motivo di orgoglio o rivendicazione identitaria.

Negli ultimi anni, tuttavia, grazie anche al dibattito stimolato dai Disability Studies e alle conquiste raggiunte dal Disability Rights Movement, si è assistito a un sovvertimento del paradigma medico-individualista che ha portato all'affermarsi di un nuovo modo di concepire la disabilità, caratterizzato da un approccio critico nei confronti del modello deficitario che definisce i comportamenti solo in termini di mancanza e normalità.

Tra questi nuovi paradigmi merita di essere menzionato il modello sociale della disabilità, che ha cambiato radicalmente il punto di vista sulla persona disabile, individuando la soluzione ai problemi legati alla disabilità nella rimozione delle barriere – ambientali o derivanti da atteggiamenti altrui – che impediscono alla persona disabile il pieno godimento dei propri diritti e delle pari opportunità.

Da una visione medica (la persona disabile è malata e va curata) si passa a una visione incentrata sulla relazione individuo-ambiente, sul contesto in cui la persona agisce e sugli ostacoli sociali, economici o comportamentali che portano all’esclusione del diverso.

Il modello sociale non si è ancora affermato in modo sistemico nell'esperienza giuridica, che appare ancora condizionata da categorie concettuali e classificatorie proprie della scienza medica. Tuttavia, non si può negare la sua influenza sulla nascita di una teoria critica del diritto che si opponga al modello antropologico fondato sull'abilismo.

In questo senso, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (UNCRPD), firmata a New York nel 2006, costituisce l'espressione più compiuta, sul piano normativo, di una riflessione orientata al modello di disabilità sociale, legando il concetto di disabilità a quello di tutela dei diritti umani e favorendo l'affermazione di temi chiave, quali la consapevolezza dei propri diritti, la non discriminazione, le pari opportunità, l'inclusione e la partecipazione, destinati a influenzare fortemente la prassi giuridica.

La Convenzione ONU ha contribuito alla diffusione di una nuova sensibilità giuridica, che concepisce le persone disabili come soggetti di diritto che devono avere pari opportunità di realizzare i propri talenti e i propri diritti.

Promuove la consapevolezza della condizione della persona disabile e delle sue capacità, contribuendo sul piano educativo alla diffusione di una nuova cultura di rispetto dei diritti e della dignità della persona disabile (art.8).

Incoraggia la partecipazione attiva, l'accessibilità in tutti i suoi aspetti dal punto di vista architettonico, l'accessibilità delle informazioni, la formazione dei professionisti sul tema, ecc. (art. 9). Richiama l'attenzione degli Stati sull'importanza della progettazione universale (di prodotti e servizi che possano essere utilizzati da tutte le persone) e sulla mobilità personale con la massima indipendenza possibile (art. 20).

La Convenzione ha certamente contribuito a forgiare un nuovo modo di fare e interpretare il diritto, che non deve essere complice di un processo di esclusione ed emarginazione della persona con disabilità, ma avere un ruolo proattivo volto a contribuire al miglioramento della sua qualità di vita.

L’auspicio è che i suoi principi forniscano all’interprete e all’operatore del diritto una più ampia comprensione del fenomeno della disabilità, influendo positivamente sull’esperienza giuridica (intesa nei suoi aspetti teorici e nei suoi profili pratici).

Ma torniamo alla domanda iniziale, ovvero agli ostacoli che Bella Baxter incontrerebbe nella società odierna.

Si potrebbe rispondere che dovrebbe confrontarsi con una miriade di barriere culturali prima ancora che materiali, che non sarebbe immune dalla diffusa tendenza alla classificazione e alla catalogazione che potrebbero limitare e condizionare le sue scelte.

Tutto vero, ma forse oggi potrebbe essere altrettanto libera di vivere e sperimentare. Perché sta finalmente cambiando la percezione di tutti noi, stanchi di dover essere e apparire perfetti, di dover rientrare nella norma.

In fondo, tutti noi vorremmo essere come Bella Baxter, vivere la sua libertà che non può essere imprigionata in una definizione e che non può (e non deve) spaventarci.

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