EGITTO: Come le nuove infrastrutture possono portare alla distruzione del patrimonio culturale, all'aumento della povertà e alla ridefinizione di alcune alleanze geopolitiche in Medio Oriente

Di Andrea Tucci,

La strada sulla quale il governo egiziano vuole costruire la nuova autostrada sarà ampia, dritta e moderna e attraverserà il cuore del Cairo Vecchio.

Da un millennio la gente vive nella città che oggi si chiama Cairo o, in arabo, Al-Qahira: la Vittoriosa.

Le prove di questo insediamento continuo sono ovunque, ma soprattutto nelle strette, strette e tortuose vie del centro storico, che seguono percorsi tracciati secoli fa. Lungo queste vie si trovano moschee e mercati storici, e le tombe dei venerabili abitanti che un tempo vi vagavano. Oggi è una delle zone più povere e densamente popolate della città.

L'autostrada non eviterà siti di importanza storica o culturale, ma li attraverserà direttamente.

Città vecchia del Cairo

Le demolizioni sono iniziate, nonostante sia stata lanciata una petizione con 16mila firme per salvare Darb 1718 (il centro egiziano di arte e cultura contemporanea situato nella città vecchia del Cairo).

La missione del presidente Abdel Fattah el-Sisi di rimodellare l'Egitto si estende ben oltre il Cairo antico. L'ex maresciallo di campo è salito al potere nel 2013 dopo tre anni di instabilità politica iniziata con una rivolta popolare nel 2011. Da allora, la sua amministrazione ha intrapreso un massiccio sforzo di costruzione di infrastrutture.

Negli ultimi nove anni ha costruito 934 ponti e 5,800 km di nuove strade. Il Cairo ha completato una terza linea della metropolitana con 29 stazioni. Una nuova capitale, 45 chilometri a sud-est del Cairo, è attualmente in costruzione, con un costo stimato di 58 miliardi di dollari.

Il presidente afferma che tutte queste nuove infrastrutture stimolano l'economia e sono necessarie per accogliere la popolazione del Paese, che conta 106 milioni di persone (di cui 22 milioni vivono nell'area del Grande Cairo).

E l'ambizione infrastrutturale del presidente Sisi è applaudita anche fuori dall'Egitto. Durante il suo mandato, il paese è salito dal 118° al 28° posto nella categoria infrastrutture del Global Competitiveness Report del World Economic Forum.

Ma i critici sottolineano che progetti di costruzione su larga scala (i cui appaltatori provengono principalmente dalla GRAN BRETAGNA, dagli Emirati Arabi Uniti e dall'ARABIA SAUDITA) rischiano di distruggere l'inestimabile patrimonio dell'Egitto nella sua ricerca di modernità.

Mentre il presidente Al SISI si vanta della forte crescita economica del paese, i prezzi dei prodotti alimentari in Egitto sono aumentati di oltre il 64% nel 2023. L'inflazione cumulativa ha raggiunto il 63%, mentre l'inflazione alimentare è aumentata del 115%. Il prezzo delle cipolle è aumentato fino al 450%, lo zucchero del 128%, la carne dell'80%, il riso del 69%. Ovviamente c'è un forte malcontento tra la popolazione e 31 milioni (su 104, circa un terzo) di persone vivono al di sotto della soglia di povertà e 40 milioni di abitanti con un reddito basso. L'Egitto potrebbe quindi presto vedere un forte aumento del numero di poveri. Oltre a tutto questo, gli investitori in queste infrastrutture vogliono certezza sull'economia e sul controllo politico del paese, dove il conflitto israelo-palestinese sta sicuramente causando forti turbolenze geopolitiche.

Oggi, infatti, alcuni Paesi, pur facendo parte della LEGA ARABA, sostengono in parte la causa israeliana, come la Giordania che ha aperto lo spazio aereo agli aerei israeliani e statunitensi e ha anche abbattuto alcuni droni. Va ricordato che in Giordania un abitante su cinque è di origine palestinese (circa 3 milioni), tra cui la regina Rania, e che nelle ultime settimane si sono verificate proteste molto accese contro Israele, ma anche l'Arabia Saudita ha svolto un ruolo indiretto, ospitando i sistemi di difesa aerea e di sorveglianza dei Paesi occidentali, mentre l'Egitto ha la Gran Bretagna tra i suoi maggiori investitori economici, tutto questo non fa che evidenziare questi Paesi come buoni alleati dei Paesi UE, quindi in parte, non oppositori della causa israeliana.

Di fatto, anche lo scacchiere geopolitico mediorientale di alcuni Paesi ha dovuto trovare un equilibrio tra interessi contrapposti e stabilità politica ed economica, il tutto a discapito delle classi sociali più povere e dei Paesi meno influenti geopoliticamente.

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