La discesa di Israele nella barbarie e nella disumanità

Di Andrea Tucci,

All'inizio di aprile, poche settimane dopo la ripresa dell'assalto a Gaza, le forze israeliane hanno annunciato di aver preso il controllo di Rafah, la città più meridionale, per creare l'"Asse Morag", un nuovo corridoio militare che seziona ulteriormente la Striscia. Nel corso della guerra, secondo l'ufficio stampa governativo di Gaza, l'esercito aveva distrutto oltre 50.000 unità abitative a Rafah, il 90% dei suoi quartieri residenziali. Ora, l'esercito ha proceduto a radere al suolo le strutture rimanenti di Rafah, trasformando l'intera città in una zona cuscinetto e bloccando l'unico valico di frontiera di Gaza con l'Egitto.
Un soldato israeliano ha riferito: "Abbiamo demolito 60 case al giorno. Ora l'orizzonte è piatto. Non c'è più una città".
È anche in linea con i video pubblicati dai soldati israeliani, secondo cui è stata presa la decisione strategica di "radere al suolo l'area", per garantire che "il ritorno dei palestinesi in questi spazi non sia qualcosa che accadrà. Non c'è un posto dove tornare".
Queste azioni costituiscono palesi violazioni delle leggi di guerra, un crimine di guerra e una specifica e sussistente distruzione di proprietà non giustificata da necessità militari.
È la distruzione sistematica dello spazio urbano di Gaza a gettare le basi per la pulizia etnica della Striscia, definita nel discorso politico israeliano come "l'attuazione del Piano Trump".

Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha apertamente appoggiato questa visione a fine marzo, subito dopo la ripresa della guerra da parte di Israele. "Hamas deporrà le armi. Ai suoi leader sarà permesso di andarsene... Ci occuperemo della sicurezza generale della Striscia di Gaza e consentiremo la realizzazione del piano di Trump per la "migrazione volontaria", ha affermato Netanyahu. "Questo è il piano.
Proprio questa settimana, Netanyahu ha dichiarato: "Stiamo distruggendo sempre più case, non hanno un posto dove tornare". "L'unico risultato previsto sarà il desiderio dei cittadini di Gaza di emigrare fuori dalla Striscia".

L'arma principale nell'arsenale di distruzione domestica dell'esercito è il bulldozer blindato D9 della Caterpillar, da tempo utilizzato per commettere violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati.
Un operatore D9 può distruggere in media 50 edifici, non c'è un posto dove andare a Rafah, a Jabalia e a Zarviv. Un operatore israeliano ha dichiarato: "Combatteremo fino alla vittoria, fino alla pace e saremo qui per sempre".

Questa politica di distruzione sistematica, una tattica per impedire ai civili di tornare alle proprie case, fu attuata anche durante l'invasione terrestre di due mesi del Libano meridionale da parte di Israele. Quella distruzione non aveva alcuno scopo militare.
"L'obiettivo era impedire ai residenti di tornare lì, distruggendo tutto: scuole, ospedali, moschee, impianti di depurazione dell'acqua."

Questa logica di distruzione di massa è stata applicata anche in Cisgiordania, anche se finora su scala minore.
Secondo un rapporto dell'OCHA delle Nazioni Unite del marzo 2025, dall'inizio del 2024 Israele ha demolito 463 edifici in Cisgiordania nell'ambito di attività militari, sfollando quasi 40.000 palestinesi dai campi di Jenin, Nur Shams e Tulkarm nell'ambito dell'"Operazione Muro di Ferro". 
La distruzione totale non è più semplicemente il sottoprodotto dell'attività militare di Israele, ma la sua strategia principale, che si tratti di Gaza, del Libano o della Cisgiordania. La distruzione totale di ogni cosa, l'annientamento completo; un luogo in cui non si può più nemmeno sperare di sopravvivere.

Una distruzione senza precedenti, senza acqua, cibo o medicine, una totale violazione del diritto umanitario internazionale, che annienta tutto ciò che rende possibile la vita e dove l'unica conclusione ragionevole è quella di un intento genocida.
Chiunque si sia espresso contro il governo israeliano è stato accusato di antisemitismo, tra cui: Papa Francesco Bergoglio, il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, i governi di Spagna, Irlanda e Sudafrica, nonché la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia, i quali hanno tutti chiesto con forza il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale.


Di fronte all'indifferenza dell'Occidente "democratico", Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, insieme a più di 800 esperti legali e studiosi dei diritti umani, da oltre un anno lancia l'allarme su questo genocidio in corso, non solo per salvare la vita dei civili palestinesi, ma anche perché questo atto orribile minaccia di disgregare l'ordine democratico, aprendo la strada a nuove "terre" governate dalla legge del più forte.

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Oltre ogni limite

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