di Adriano Izzo, Avvocato civilista e Presidente della Fondazione Gennaro Santilli ETS,
Il nuovo film di Sorrentino, "Parthenope", ci offre un'ulteriore opportunità per approfondire la visione poetica del regista napoletano.
“Professore, che cos’è l’antropologia?” chiede Parthenope, la protagonista interpretata magistralmente da Celeste Della Porta, all’unico uomo capace di catturare davvero la sua attenzione e accendere la sua curiosità.
“L’antropologia è vedere”, risponde dopo un attimo di esitazione uno straordinario Silvio Orlando, che interpreta il professore universitario Devoto Marotta. Marotta è un personaggio iconico, restio a sorridere e portatore sano di una conoscenza sull’orlo dell’estinzione.
In questa singola frase è racchiusa l'essenza del cinema di Sorrentino, un cinema che è, prima di tutto, fatto di personaggi. È fatto di volti che riempiono l'inquadratura, catturati da uno stile registico in sintonia con il ritratto e la sua potenza narrativa. Volti che si distinguono nella bellezza della loro imperfezione.
Dietro la risposta caustica del professore si nasconde la chiave per decifrare il messaggio di Sorrentino: il regista ci offre la sua visione del mondo, invitandoci a osservare la realtà della condizione umana nella sua straordinaria bellezza e, contemporaneamente, nella sua miseria.
“Non ti giudicherò mai, e tu non giudicherai mai me”, è il patto che il Prof. Marotta propone a Parthenope. E lei lo accetta.

Perché questa è la sfida che ci pone Sorrentino: esplorare le infinite sfaccettature dell'esistenza umana senza emettere giudizi. La sospensione del giudizio è la chiave per comprendere veramente la realtà, mettendo da parte le emozioni che offuscano, dirigono e condizionano la nostra percezione.
Vedere. È un esercizio complesso, che costituisce l’essenza dell’antropologia culturale e al quale non siamo abituati.
Il merito della cinematografia di Sorrentino è proprio questo. Uno sguardo sull’essere umano scevro da ideologie e da qualsiasi giudizio. Perché è così, soltanto così, che si può comprendere e accettare il prossimo.
Memorabile la scena del film “La Grande Bellezza”, premio Oscar nel XNUMX, nella quale il protagonista Jep Gambardella, interpretato da Tony Servillo, chiude così il bellissimo monologo che smonta il castello di menzogne ostentato dall’amica Stefania, esponente di un’umanità autoreferenziale e ipocrita:
Stefà, madre e donna, hai 53 anni e una vita devastata come tutti noi. E allora invece di farci la morale, di guardarci con antipatia, dovresti guardarci con affetto. Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un poco in giro, o no?”.
Attraverso le parole di Jep Gambardella il buon Sorrentino ci invita ad una riflessione che dovrebbe tradursi in conoscenza e azione: siamo tutti uguali, con la nostra bellezza e le nostre fragilità. Siamo diversi ma uguali.
Saper vedere il mondo ci aiuta a vedere noi stessi. A capirci e, di riflesso, a capire gli altri.